La Settima Sinfonia di L.w.Beethoven è una partitura tra le più “danzanti” nel grande repertorio della musica di ogni tempo, di Beethoven in particolare, come suggerisce Marino Mora: “Che la danza ed il ritmo penetrino in ogni settore della composizione è del tutto vero; il ritmo ne diviene categoria generatrice: dà forma ad incisi ed idee, innerva e vivifica la melodia, trasforma plasticamente i temi. Ma anche accelera i cambi armonici, concentra o disperde i motivi tra le varie fasce timbriche, sostiene e sospinge vigorosamente le dinamiche in espansione”. A distanza di oltre due secoli dalla sua creazione, la grandezza di questa partitura è un lascito che ancora ci parla e ci guida: è la “forcella di un rabdomante” che, pur gravemente mutilato dalla sordità, ha trasformato queste pagine in una materia febbricitante di vita, propulsiva per l’animo.  Perché, a ridosso di un tale monumento, immaginare un balletto che ha, come sottotitolo, “un moto di gioia”? Per due interrelate ragioni. Non si può solo desiderare, o “sognare”, una tale impresa. È necessario avvertire profondamente il “bisogno” di mettere in atto questa “avventura dell’anima”, incarnata dai corpi dei danzatori.

Considerata tra le composizioni più innovative e autorevoli del musicista tedesco, è questa la sinfonia che ha maggiormente stimolato, rispetto alle altre otto, il maggior ventaglio di interpretazioni e creazioni coreografiche. Tale diversità di opinioni e vedute, ricorda Paul Guttman, indica la capacità della Sinfonia di evocare, tra gli ascoltatori, un ampio spettro di risposte, profondamente personali e molto diverse. Di conseguenza, anche il nostro balletto è stato forgiato a partire da verifiche e confronti, de visu oppure mediati dalla copiosa letteratura al riguardo, per una valutazione accertata dello spartito.

Come premesso, il sottotitolo del nostro lavoro, “un moto di gioia”, è un’espressione che consapevolmente si pone a fronte di una quotidianità dove si avverte ben altro. È stato da noi prescelto per “giustificare e supportare” precise opzioni tecniche ed estetiche, per porgere un invito alla visione e alla condivisione della pura gioia della danza, considerata per sé e in un serrato dialogo con la musica della Settima Sinfonia. Nelle cui pagine, secondo Giorgio Pestelli, l’idea di danza è avvertita come “sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l’opera in un graduale e costante crescendo d’intensità metrica, da una lenta messa in moto fino al massimo dell’eccitazione”.

Il Maestro Iannone convivide questo punto di vista: la Settima Sinfonia proietta intorno a sé una luce speciale. Pur intrisa di laica lucidità, esprime un sentimento di “fede” per il positivo divenire della vita, spinge ad affrancarsi da ogni limite, personale, di tempo, luogo e contingenza.  Lo spartito, così interpretato e motivato, spiegato dal coreografo ai propri danzatori, e da loro assimilato, può diventare un punto di riferimento spirituale: un fulcro che, in un confronto serrato, esorta gli interpreti verso la piena espressione di sé e delle proprie possibilità.  Guidati dal Maestro Iannone nell’esplorazione della Settima Sinfonia, i danzatori potranno percorrere territori dove si addensa una magia elettrizzante: vola a onde e flutti continui, scompiglia visivamente le carte in palcoscenico, genera canali di empatia con il pubblico; suscita stati d’animo positivi.

Ermanno Romanelli

Ph. Gennaro Guida

 

 
 

“Sogno di una notte di mezza estate”, Bari, 21 luglio 2018

Domenico Iannone, direttore, coreografo.